venerdì 17 settembre 2010

Note sul concetto di installance / Marco Giovenale. 2010

    
1.
  
Ovviamente Robert Barry sul finire degli anni Sessanta ha svolto un lavoro molto vicino al concetto di installance. Dove l'indeterminazione è dominante e non c'è però accenno alla segretezza.
Rilasciare una quantità di elio o neon o altro “da qualche parte” nell'atmosfera è indeterminazione; ma la performance è tale: c'è azione, pubblico, volendo. Che poi l'account, la descrizione-dichiarazione-racconto spieghi post quem ciò che ha avuto luogo, e il fatto che la performance ha avuto luogo, non toglie “segretezza” e nascondimento al lavoro.
Inoltre, tutto il resto è definito e chiaro: si sa che tipo di gas è quello rilasciato, e viene detto, se ne conosce e viene dichiarata la quantità, eccetera.
Se si rilascia segretamente in luogo preciso ma solo fotografato e non dichiarato un oggetto di dimensioni indefinite, spesso coperto di scrittura o asemantica o illeggibile o cancellata, i gradi e strati di non conoscenza sono tali da rendere l'opera definitivamente non perimetrabile, senza tuttavia rinunciare alla sua materialità.
Senza dover ricorrere a un gas o a un'idea, un concetto.
Attenzione: è tuttavia e comunque possibile, attraverso l'installance, ricorrere precisamente a un'idea, o ad altro. A un'azione immateriale e su cui non c'è testimonianza e magari nemmeno è data documentazione. Si veda l'installance assente “nella” chiesa con le sliding doors (http://installance.blogspot.com/2010/09/installance-0007-unperformed.html).
  
 
2.
   
Nel caso di Barry l'opera è, se non performata in presenza di pubblico, comunque pubblicizzata, resa nota come “evento”. L'installance invece è – tendenzialmente – evento solo in termini ontologici, non sociali. Individuali semmai. Non è o può non essere necessariamente “socializzata”.
Altra prossimità apparente, non sostanziale. I writers e i disegnatori che variamente lavorano sui muri delle città privilegiano sì la segretezza dell'opera ma la limitano al puro momento esecutivo. L'opera deve nascere quasi spontaneamente, nella loro (condivisibile o meno) idea, dal discorso della società, e comparire in/al pubblico. L’esibizione è quindi successiva e intera. L’opera è esposta e visibile: già affissa: è sul muro.
Vero è che per le installances non è differente l’esibizione dell’oggetto (esibizione anche costante, perdurante, fino al deperimento dei materiali) successiva alla non-azione, alla installazione secretly performed. Forse allora quello che differisce, ciò che marca distanza fra graffiti e installance, è il senso della durata dell’opera. L’installance non teme di essere persa, di sparire, di corrompersi, di non esser registrata da altro occhio di colui che la pone in essere.
  
   
3.
   
L’installance è un pacchetto di senso individuale isolato. Spesso e anzi si direbbe elettivamente asciugato da ogni narcisismo e atto di esposizione autoriale. È un dono e un’operazione riservata. È per la collettività, non in forma autistica, ma evita lo show. L’oggetto di senso viene donato alla collettività senza passare necessariamente per i canali della consueta “notificazione” legale = spettacolare. (Pur se una “notizia” può essere, ma non deve essere, fornita).
In questo senso, un post in un blog è solo in parte una contraddizione in termini. Vero è che può costituire una documentazione ex post (!). Successiva. Dopo che il dono è stato fatto (segretamente + per tutti + senza più possesso dell’artista + senza alcuna “vendita” + senza narcisismo + senza un destinatario né una fonte “privilegiati” + senza immaterialità).